Battuta di pesca – Racconto sul caffè

Battuta di pesca

Battuta di pesca Cinquecento
Photo by Josh Feiber on Unsplash

Battuta di pesca è un racconto sul caffè che ho inviato per partecipare ad un concorso letterario promosso dal marchio Moak, per l’appunto, una miscela di caffè. Sono qualcosa di più di 19000 battute spazi inclusi, 8 pagine di word. Si può fare, in fin dei conti.

Volete conoscere la storia di "Battuta di pesca" e la mia esperienza in questo concorso? Dateci un'occhiata

Battuta di pesca è una storia semplice. Il contorno, l’ambientazione è la mia terra, i miei paesi, cittadine, borghi, che fin da bambino ho visitato e vissuto.

Dopo anni di pellegrinaggio alla ricerca di qualcosa, ho compreso che già ce l’avevo. Capita anche questo.

Che centra la foto della Cinquecento e cosa ci azzecca il caffè con la pesca?

 L’unico modo è andare a leggere il racconto, quindi, in definitiva, non c’è alternativa se non leggere.

Potete scaricare il racconto "Battura di pesca" gratuitamente. Per gli iscritti alla newsletter posso inviare il racconto, su richiesta, nel formato mobi ed epub.

Battuta di pesca

Il clacson suonò quattro volte. L’ultimo colpo fu lungo. Il suono àtono del segnalatore di attenzione della Cinquecento era fastidioso come un tarlo sulle travi di una vecchia mansarda.

“Questo odore mi sta mandando ai matti. Che sta combinando Giacomo?” disse Piero a cui non stava mai bene niente. Si divincolava e si contorceva con fare esagerato, stretto tra il sedile del guidatore e la “cassetta degli attrezzi”, come la chiamava Antonio.

“Sempre a lamentarti stai. In fondo la puzza rimane dentro la mia macchina, non la tua! Sono io che devo sorbirmi questo odore per una settimana intera” rispose stizzito Antonio, che intanto diede qualche altro colpetto al clacson non accordato della piccola vettura.

“Sei stato tu a dire di voler prendere la tua macchina, mica io” disse Piero.

“Eccolo che arriva dai…Giacomo ma che stavi combinando lassù?”

Giacomo trafelato entrò nella Cinquecento blu, appena ridipinta. Lo sportello fece un cigolio di ultrasuoni che avrebbe svegliato un cane a dieci chilometri di distanza.

“Che c’è?” chiese sorpreso Giacomo.
“Come che c’è? E’ mezz’ora che ti aspettiamo!” rispose Piero.
“Non dire stupidaggini, saranno al massimo dieci minuti” Giacomo fece un gesto con la mano senza girarsi. “Andiamo?”

Antonio accese il motore che balbettò prima di prendere i giri. Un fumo azzurrognolo uscì dalla marmitta consumata. Poi si bloccò e poggiò la testa sul manubrio, esasperato.

Da quando aveva tolto il pannolino fino all’avvento del telefono cellulare, Antonio non aveva mai dato in escandescenze. Dal momento in cui la figlia aveva terminato gli studi, un piccolo diavoletto ribelle si era impadronito di lui. Le rappresaglie potevano arrivare da un momento all’altro.
“Giacomo, Giacomo…Cosa ti sei scordato?” disse guardandolo di sbieco.
Giacomo lo fissò un attimo, smarrito.
“Ah già, il caffè” scese rapido dalla macchina.

“La canna!” strillò Piero da dietro.

“Non riesco proprio a capire dove abbia la testa quel ragazzo”

“Una volta è andato a pesca da solo. Quando è arrivato a Sabaudia, perché si era impuntato di andare fin laggiù…”

“Una bella oretta e mezza”

“Esatto. Si era dimenticato la canna da pesca. Si era ricordato di portare da bere, da mangiare, anche il caffè, tutto quanto. Poteva campeggiare per una settimana con tutta quella roba. Però la canna a casa” concluse Antonio.
“Là stava bene. Questa puzza è insopportabile comunque. Non era meglio metterla davanti questa cassetta?”
“Ma quando entra in quel buco”
“E sopra, insieme alle canne da pesca?”
“Così ce la perdiamo per strada”

Giacomo ritornò facendo una mezza corsetta. In una mano teneva la canna già smontata avvolta in un panno, nell’altra una busta di plastica da cui ergeva il maestoso thermos color argento.
Aprì lo sportello e mise la busta sul sedile, poi allentò le cinghie sopra il tetto della Cinquecento e infilò la canna, stringendo infine la corda.

“Pronto” disse Giacomo. -Battuta di pesca-

“E finalmente” tuonò Piero.

Giacomo sembrava non dar peso alle punzecchiature della brigata. Li lasciava fare, per il bene del loro equilibrio. Era il più giovane dei tre. Non era sposato e non aveva figli. Aveva una compagna ma erano ai ferri corti e negli ultimi mesi aveva ripreso a dedicarsi alla vita notturna con conseguente riduzione del santo sonno del guerriero stanco.
“Ti salvi perché sei l’unico che ha il thermos da un litro” disse Antonio mettendo la prima e facendo alzare i giri del motore.

La piccola auto uscì dal vialetto e imboccarono la stretta via che si collegava con Via Cori.

Da lì avrebbero continuato su Via le Pastine che si articolava, cambiando nome un paio di volte, fino a Doganella di Ninfa, zona di sosta per loro, dove di solito facevano la tappa caffè.  Da quel momento in poi, puntando ovest, puntando il mare, dopo un paio di “destra-sinistra”, si sarebbero immessi sulla Stradale della Chiesuola fino a Borgo Piave dove era prevista la seconda e ultima tappa caffè per poi finire sulla Stradale Sabotino, ultimo tratto di strada che porta a Foce Verde.

Durante le soste, capitava che qualche malcapitato chiedesse ad Antonio indicazioni per raggiungere il mare e allora Giacomo e Piero si defilavano per ridere come matti.

“Fai des-sinis fino a Borgo, poi giri a destra quando vedi un muretto di tufo alto e ti ritrovi a Pantanello. Sulla destra c’hai il Moscardello. Poi fai des-sinis, aspetta, no, sinis-des e sei arrivato. Capito allora?” -Battuta di pesca-

I poveri sventurati, confusi e storditi da nomi sconosciuti, cambi di direzione e svariati des-sinis, annuivano sconfortati, cercando di tagliare la conversazione che per Antonio poteva continuare per ore e ore.

“Sabaudia?” chiese con scherno Giacomo.
Antonio e Piero si scambiarono un sorriso dallo specchietto retrovisore. La battuta aveva fatto centro.

“Perché invece di dire sciocchezze non versi il caffè, così cambiamo un po’ l’aria qui dentro?” disse Piero che se ne stava impettito con il braccio stretto intorno alla cassetta degli attrezzi.
Giacomo sfilò il thermos e lo svitò. Quel fumo caldo li avvolse, fino a perdersi nella debole brezza che si percepiva dai finestrini abbassati.

L’aria si impregnò per un attimo di quell’odore che sapeva di casa, di levatacce la mattina presto e, soprattutto, delle loro battute di pesca.

Giacomo versò il liquido nero bollente dentro i bicchierini di plastica, uno ad uno, adagio, per non gettarselo addosso evitando così di ustionarsi.

Passò il bicchiere prima a Piero e poi ad Antonio. Entrambi sniffarono il contenuto con avidità prima di bagnarsi le labbra con il caffè, saggiando la temperatura.
“Lo zucchero te lo sei ricordato?” chiese Piero.

“Si, si” rispose infastidito Giacomo mentre versava il caffè per sé.

La luce era quasi scomparsa dietro le colline. Il caldo afoso avrebbe lasciato spazio a una temperatura più fresca e piacevole. La macchina sussultava sulle buche di quelle vecchie vie.
Ai lati della strada, sterminati campi di vigneti coprivano gli ultimi raggi di sole ormai bassi. Su uno sfondo di montagne, il cielo con le nuvole di cui non si distingueva il colore. Sventura o fortuna a seconda dei punti di vista. La pioggia a Settembre era ben vista dagli agricoltori che si lamentavano spesso della siccità estiva. Capitolo diverso per i produttori locali di vino che invece avrebbe dovuto dare di nuovo il ramato. Anche per i tre vecchi amici sarebbe stato un problema. Se avesse iniziato a piovere la battuta di pesca sarebbe stata in pericolo.

Sorseggiarono il caffè in silenzio, cercando di non rovesciarselo addosso. Antonio fu il primo ad accendersi una sigaretta e a turno tutti fumarono con avidità creando una nuova fragranza, all’interno dell’abitacolo, dall’odore pungente e stantio. -Battuta di pesca-

Il tragitto era pieno di buche che spesso Antonio non riusciva ad evitare. Così le canne da pesca rimbalzavano dal tettino sul parabrezza della Cinquecento facendo prendere un vero accidente a Giacomo che non era più abituato.
Fino a Doganella comunque tutto filò liscio. Scherzarono e si presero in giro come al solito. Il panorama, nonostante si ripetesse sempre uguale, non stancava mai. Uliveti, vigneti, piante di kiwi pronte a dare gli ultimi frutti e pini alti come un palazzo si alternavano in forme geometriche e artistiche, disegnate con le squadre e colorate con i pastelli.

Con il calare delle tenebre le nuvole che prima apparivano lontane e piccole adesso incombevano sulle loro teste. Erano loro ad averle raggiunte o viceversa? -Battuta di pesca-

Quando si fermarono al bar al grande incrocio di Doganella, l’odore inconfondibile di asfalto bagnato si fece più intenso. Da qualche parte già stava piovendo.
Le luci del bar che da lì a poco avrebbe chiuso, illuminavano quel tratto di strada scuro e pericoloso.
Entrarono e fu subito festa.
“Guarda chi si vede!” disse il vecchio barista.

“Osvaldo, come stai vecchio caprone?” disse Antonio passandosi la mano sulla testa quasi glabra.
“Osva’ che dici?” disse Piero.
“E che volete che vi dica. Si tira a campare, come sempre. Andate a pesca stanotte?”
“Ci proviamo” disse Giacomo.

I tre si poggiarono sul bancone di legno. Lo specchio sulla parete di fronte, incorniciato da luci di dubbia provenienza, li rifletteva. Tre uomini belli e fatti con le spalle grandi, i capelli un po' radi e un po' grigi, liberi da mogli e figli o fidanzate rompiscatole. Felici come dei marmocchi con uno scivolo tutto per loro.

“Tre caffè. Uno al vetro. Facceli bene, per piacere” ordinò Piero schioccando la lingua.
“Non vedete che tempo che c’è? Ma dove andate? Oggi la tira giù che neanche Dio lo sa”

“E che dobbiamo fare Osvà, ormai siamo in viaggio” fece spallucce Giacomo.
“Non ci facciamo mica spaventare da due gocce” disse Antonio.

Osvaldo, il barista dai capelli grigi lunghi ma dalla zucca pelata, con maestria riempì il braccetto con il caffè appena macinato, lo pressò, lo inserì nel vano e senza guardare mise due tazzine calde sotto i due beccucci.

“Date retta. Stanotte ne fa talmente tanta che basta per un mese. Meglio che torniate indietro”

Piero rise di gusto. “Indietro? Per una volta che abbiamo la serata libera ci vuoi rimandare indietro?”

Anche Antonio e Giacomo sorrisero, riluttanti al solo pensare di tornare a casa.
Osvaldo nel frattempo ripeté l’operazione per l’ultimo caffè, quello al vetro, con eleganza, degno del miglior prestigiatore. Si voltò e fece scivolare tre piattini sul bancone come si li avesse tenuti nascosti tutto tempo dentro la manica.

“Amari giusto?” “Ovvio” risposero all’unisono. Nessuno può mettere lo zucchero nel caffè del bar. -Battuta di pesca-

“Poi non ditemi che non vi avevo avvertito” disse Osvaldo adagiando le tazzine sopra i piattini.
“Che ci vuoi fare. Siamo cocciuti noi” Piero prese la tazzina sulla punta del manico per non scottarsi e si bagnò le labbra.

“Che si dice da queste parti Osvà? La gente ha finito le vacanze eh?” chiese Giacomo con la tazzina in mano aspettando qualche attimo che si raffreddasse un po’.
“Stanno rientrando tutti. Ormai la stagione è finita”

“E’ durata tanta quest’anno…” disse Antonio scrutando intorno in cerca di un calendario.
Piero si accese una sigaretta a metà caffè.

“Direi che è il momento di tornare a lavorare anche per noi, dico bene?” disse Giacomo sghignazzando. -Battuta di pesca-

“Ma guarda te questi! E io che ho lavorato come un facchino per tutta l’estate…”
“Tocca a tutti rimettersi a lavorare dopo le ferie Osvà” rincarò la dose Piero che sorrise in mezzo alla nuvola di fumo della sua sigaretta.

Si fecero una sonora risata tutti e quattro. Era il loro solito siparietto di fine stagione. Le frasi si ripetevano uguali tutti gli anni. Per Giacomo Piero e Antonio la notte davanti a loro, ancora giovane e inesperta, sarebbe stata con tutta probabilità la loro ultima battuta di pesca per quell’anno.
“Guardate” disse Osvaldo con aria soddisfatta puntando il dito verso una finestra.

Una pioggia fina aveva iniziato a scendere, silenziosa e infame. I tre si guardarono un po' sconfortati ma non si scoraggiarono. Si sentivano pronti per affrontare l’ultima avventura dell’anno, fiduciosi di vincere la tempesta e arrivare primi verso il cielo stellato e le ultime sabbie calde.

Terminarono il caffè con calma, scambiandosi altre battute con il barista al limite del luogo comune.
Poi, coprendosi il capo con dei fogli di quotidiano abbandonati su di un tavolo, entrarono nella piccola auto.

“Che facciamo?” chiese Giacomo sapendo già la risposta.
Antonio accese il motore che singhiozzò ostinatamente, facendoli saltellare sui sedili.

Senza dire una parola ripartirono.

La leggera pioggia in breve tempo era diventata fitta e violenta. Il tergicristallo ballava come un topo senza il gatto scricchiolando e sbattendo sui lati. I finestrini erano stati chiusi e, dentro, la condensa dei loro fiati appannò il parabrezza.

Antonio dovette pulirlo con il dorso della mano più volte senza tralasciare imprecazioni e parolacce. Nessuno proferì parola fino a Borgo Piave, concentrati a guardare la strada deserta in attesa di scorgere il solito ristorante.

Era buio quando arrivarono. Non erano ancora le dieci. Nell’immenso parcheggio c’erano diversi camion con lunghi rimorchi e qualche furgone. Si brigarono ad entrare.

 All’interno dell’osteria un olezzo di carne alla brace e vino gli fece venire l’acquolina in bocca facendogli dimenticare per una attimo di essere completamente zuppi fino alla vita. Si sedettero su un piccolo tavolino all’angolo della trattoria. Il locale era piuttosto affollato. Quando pioveva, a qualsiasi ora, si formava la ressa. I camerieri erano tutti indaffarati. Le fronti lucide riflettevano la luce bianca che pendeva dal soffitto.

“Mangiamo qualcosa?” disse Antonio con occhi porcini. “Ho la borsa piena di roba in macchina. Mia moglie ci ha preparato tramezzini e panini imbottiti. C’è anche un bel pezzo di crostata, che ha fatto lei” disse Piero con aria stanca. Ordinarono tre caffè e rimasero in silenzio fino a quando non glieli portarono. -Battuta di pesca-

Gli occhi si muovevano qua e là, attirati dai movimenti delle persone sedute ai tavoli, in cerca di qualche volto amico. Il ristorante di terza classe si muoveva come un organismo vivente. Il cibo era fatto per i camionisti. Porzioni immense e servite in poco tempo a basso costo. Il caffè però era uno dei più buoni in circolazione. Il segreto che solo i guidatori di camion e i viaggiatori stanchi conoscevano.
Sorseggiarono il caffè con estrema calma. Fuori c’era il finimondo, il primo temporale di un autunno alle porte. Non c’era fretta. La caffeina aveva la controversa capacità di farti restare calmo quando l’assumevi.

Avrebbero volentieri fatto due chiacchiere con Mario, il proprietario. Sembrava una mosca impazzita che cercava di uscire da un luogo stretto e caldo. Faceva i conti, preparava le bevande, indicava ai camerieri dove andava il cibo e con ostentazione puliva il bancone di marmo.

I tre si incamminarono verso l’uscita.
“Mario!” salutò Giacomo.
“Ciao Mà! Alla prossima” continuò Antonio.

Piero si limitò ad un cenno.
“Oh, non vi avevo visto. Scusate, ma quando piove lo sapete com’è qua dentro. Andate a pesca? Con questo tempo?” rispose Mario che finalmente si era fermato.

“Ci manca ancora un po’ per arrivare a Foce Verde. Magari smette” disse poco convinto Antonio mentre si portava la sigaretta in bocca.
“Che matti che siete. Vi saluto. Andate piano su quelle stradacce eh!” Mario fece un gesto amichevole con la mano e ritornò alle sue mille occupazioni.

Uscirono di fuori. Il piccolo porticato gli permise di gustarsi una sigaretta all’aperto. Il caldo lì dentro era davvero insopportabile. -Battuta di pesca-

“Che facciamo ragazzi, continuiamo allora?” chiese Antonio gettando il mozzicone lontano.
“Di tornare a casa proprio non ho voglia” disse Piero.

“Proviamo. Come hai detto te, magari smette” confermò Giacomo.

Si affrettarono a rientrare nell’auto. Nei loro occhi c’era un velo di tristezza. Forse perché quella era l’ultima battuta di pesca della stagione, tra l’altro rovinata da quel maledetto tempo. Sapevano già che i loro incontri si sarebbero affievoliti, riducendosi a qualche appuntamento sporadico nel fine settimana e all’aperitivo della vigilia di Natale nel centro storico di Cori, come tutti gli anni.

La notte e la pioggia rendevano difficile la visibilità della strada.

Antonio guidava con il muso quasi a ridosso del parabrezza, continuando a bagnarsi il dorso della mano per asciugare l’alone di umidità che si formava.
Rimasero in silenzio fino a che non avvistarono il mare, dopo aver superato decine di borghi e frazioni. I loro cuori, ascoltati allo stetoscopio, formavano un ritmo tribale di un tono più scuro della notte. Nonostante la pioggia che rimbalzava con forza sulla carrozzeria di acciaio della macchina, riuscirono a scorgere l’immensa distesa d’acqua che si annunciava all’orizzonte calma e impassibile, ma in realtà altro non era che un mare arrabbiato e oscuro.

“Ragazzi di pescare proprio non se ne parla” disse sbuffando Antonio. “Forse neanche Dio sa quando finirà tutta quest’acqua” “Già” disse Giacomo sconsolato. “Suvvia, non facciamo così. Adesso smette, vedrete. Mangiamo una cosa nel frattempo” disse Piero con intraprendenza. Prese lo zainetto e tiro fuori quella busta piena di tramezzini foderati con la carta argentata che erano il vanto di sua moglie. L’aprì e consegnò un tramezzino a testa. Li ingurgitarono con ferocia.

“Buoni buoni!” disse Giacomo con la bocca piena.
“Porca miseria” aggiunse Antonio.
“Sono solo tramezzini, mica è una lasagna” rispose Piero con noncuranza.
“Sempre buoni sono” disse Antonio.

“Il segreto sta nello spennellare il pane con il latte e coprire i tramezzini con un po’ di carta bagnata” aggiunse Piero con solennità.
“Ah non lo sapevo. Passamene un altro va!” disse Giacomo.
“Si pure a me. Questo trucchetto me lo rivendo” disse Antonio.
“Me lo sono appena inventato” disse con scherno Piero.

“Ma vaffanculo va”

“Sei proprio pessimo”

“Potete sempre provare a farlo, magari vi vengono buoni come questi” disse Piero porgendone altri agli amici.

“Sono solo tramezzini, mica è una lasagna” disse Giacomo ridacchiando. -Battuta di pesca-

Risero di gusto per quella pessima battuta. Tutte le preoccupazioni passate e future svanirono nelle grandi gocce di pioggia che si scagliavano in terra.

“Tua moglie è proprio brava a fare i tramezzini. Voglio la vera ricetta” disse Giacomo cercando di alimentare l’ilarità, ma non funzionò.
Continuarono a parlare sempre più a bassa voce, con la bocca impastata, le membra strette e stanche. Quando il silenzio piombò nell’abitacolo, Antonio si rese conto che gli altri si erano addormentati. Piero con la testa reclinata dal lato della cassetta e Giacomo con la schiena eretta ma la testa sul finestrino umido.

Si guardò intorno. L’acqua correva come con un piccolo torrente sulla strada inclinata. Il mare di fronte a lui continuava a generare onde mute, coperte dal rumore della pioggia. Si lasciò andare sul sedile scomodo e si addormentò.

Giacomo infastidito aprì gli occhi. Il sole era forte e caldo e si rese conto di essere sudato fradicio. Sbadigliò e si stiracchiò silenziosamente, per non svegliare gli altri.

Sulla strada c’erano grandi pozzanghere d’acqua, stagni artificiali. Il mare era tornato calmo e la sabbia era di color marrone scuro, quasi nero. Aprì il finestrino con la manopola quindi aprì anche il finestrino incastonato nell’angolo tra il parabrezza e lo sportello, per far passare l’aria pulita della mattina e rinfrescare la tappezzeria della macchina inzuppata del loro odore, di umidità e dell’odore delle esche, forse già morte. 

La battuta di pesca era stata un fiasco. In realtà non era mai iniziata. D’altro canto avevano passato la notte fuori, dentro quella piccola auto, come non facevano da mille anni. Non avevano fatto niente di speciale.

Avevano parlato e avevano rispettato i loro stessi silenzi, avevano scherzato e avevano preso in giro le mogli e le fidanzate, passate e future. Le tappe canoniche era state rispettate, con i rispettivi rituali di saluti e caffè.
Giacomo, con lo sguardo perso nell’orizzonte, pensò che era impossibile che tutto questo sarebbe finito prima o poi.
Ma non era già accaduto?
Aprì il thermos che emanava ancora una leggera zaffata di fumo. Si sentirono mugolii e ossa che scricchiolavano.
“Chi ha fatto il caffè?” chiese Piero allungandosi in mezzo ai sedili.
“Non io” rispose Antonio. La bocca si spalancò in maniera innaturale.

Giacomo chiese i bicchieri che avevano già utilizzato durante la notte. Versò abbondante caffè a tutti svuotando il thermos. “Buongiorno” disse Giacomo con un sorriso complice. -Battuta di pesca-

Fine - Battuta di pesca -

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