Galleggiare – Racconto breve

Racconto breve fuori categoria

Il primo file del racconto Galleggiare è datato agosto 2018. Potrebbe però essere più vecchio, in realtà. Sono 4400 battute spazi inclusi. Davvero breve. Due paginette di word, nel pdf notifica cinque pagine ma su una c’è solo il titolo, e sull’ultima meno della metà è vuota. Sul Kindle dice: Tempo alla fine del libro 2 min.

Sono i miei primi approcci “seri” verso i racconti. Mi volevo divertire, volevo far divertire, soprattutto la mia compagna, ma non credo abbiamo sortito l’effetto desiderato. Tuttavia l’ho corretto e revisionato proprio per pubblicarlo. Non ha categoria o almeno non la riesco a trovare. Forse è meglio così.

La trama, come sempre, non ve la dico e in aggiunta non taccio per sempre. E poi sono due pagine, che diamine!

I racconti sono davvero difficili da recensire ma se ci scappa un commento, anche negativo, soprattutto negativo, potrei imparare qualcosa.

Di certo non ci rimetterò le mani.  Gli errori si scovano ad intermittenza, all’infinito. A dire il vero non finiscono mai. D’altra parte finisce la voglia di correggerli perché, soprattutto, la voglia di scrivere altro annebbia la vista. L’avrò convertito in pdf almeno dieci volte perché ad ogni rilettura trovavo un imprecisione. Non siamo nati per fare gli editor.

Potete scaricare il racconto Galleggiare gratuitamente. Per gli iscritti alla newsletter posso inviare il racconto, su richiesta, nel formato mobi ed epub.

Galleggiare

Difficile girarsi una sigaretta sul letto senza buttare un po’ di tabacco sul lenzuolo. Lo faccio di continuo. Non riesco a smettere.

Ripensavo al sogno fatto la scorsa notte. L’accendino bianco piccolo alza la voce e mi aiuta a non smettere di farlo. Sono sdraiato e faccio cerchi di fumo. Il posacenere di plastica morbida sulla pancia. Due cuscini poggiati sullo schienale del letto.

Ero ovattato in un colore blu scuro e grigio e con molto rosso e fluttuavo o meglio, volavo. Ero in posizione orizzontale almeno credo. Vedevo come in Call of Duty, ma con la luminosità al minimo o lo schermo inclinato male.

“La smetti di fumare in camera?” disse la mia ragazza gridando dall’altra stanza. “Hai il fiuto di un segugio?” domando, gridando di rimando.

Nessuna risposta, sta facendo altro. Sa anche delle briciole di tabacco e me l’avrebbe fatta pagare.

Una casa formata da due rettangoli. Ma di una stanza ne avevo solo la percezione. Sapevo che c’era. L’altra era tappezzata di rosso con dei quadri? Non riuscivo a vederli. E c’erano dei divanetti blu? Blu sicuro, qualcosa che si poteva utilizzare come seduta ma repellevano, puzzavano? Una trappola? Sicuro blu scuro, ero certo, sono certo. Una finestra a vetri, una porta trasparente. C’era un balcone. Sensazioni mescolate ad altri sogni e altre vite nei sogni, gatti, déjà-vu, pistole d’acqua e case al mare.

“Vieni di qua?” disse la mia ragazza.

“Sto fumando! Adesso arrivo” dissi.

“Non fumare in camera!” disse.

Stavolta non gli rispondo. Devo ricordarmi di scriverli. Su un foglio, un appunto sul muro.

C’erano delle persone e le ho cacciate, non mi fidavo. Volavano anche loro. Perché i divani? Ma erano divani? Troni privati per spiriti pensionati. Sono uscito dallo scrigno rosso e mi sono ritrovato all’aria aperta, nel buio fumoso della città. Luci e palazzi giganti. Nessun indizio su quale metropoli potesse essere. Di mongolfiere nemmeno l’ombra. Ho iniziato a volare cosciente del fatto che potevo farlo, come fare la pipì o non farsi la barba, e ho bighellonato un po’ giro, senza guardare. Mi godevo il volo. Facevo piroette, capriole e tutte queste cose qui. A chi non piace volare? Quella sensazione è rimasta vivida ma se ne sta andando secondo dopo secondo. Devo scriverli. Rossetto sullo specchio. Come ricordarlo? Con una parola basta? Forse due o tre, almeno. Provo: come quando cadi ma non cadi. Sei parole, posso fare meglio.

“È quasi pronta la cena. Dai vieni di qua cazzo!” disse.

“Sto fumandoooo!!” dissi.

“Una sigaretta infinita”

“Mi fai ricordare ‘sto cazzo di sogno!” urlai.

“Scusa oh! Non si fuma in camera e tre!”

Lancio l’accendino sull’armadio.

Rientrai in questo rettangolo. C’erano delle altre persone. Volevano aiutarmi a tener lontane le altre persone. Non mi fidavo ma non accettare era da maleducati. Non ricordo nessuna faccia. Né di quelli che volevano aiutarmi né di quelli a cui dovevo tenermi alla larga, secondo loro. Ovali vuoti con capelli indefiniti. Ricordo però un cinquantenne tarchiato con i capelli grigi. Senza faccia.

Continuavo a galleggiare in questo rettangolo che era piccolo, un cubicolo.

Dove c’entravano tutte queste persone? Ma non eravamo ammassati. Rimanemmo lì per non so quanto tempo a non far niente. Mi affacciai di nuovo al balcone e mi lanciai, ma il mio super potere era finito e mi schiantai. Nessun dolore né paura. Un’altra scena. Tipico dei fottuti sogni. Mi ritrovai di fronte ad un cancello, di quelli neri, da film horror. Ero fuori da quell’ammasso di ferro e vedevo la classica casa degli spiriti. Non avevo paura. Stavo lasciando una ragazza con il consiglio di qualcuno che non vedevo. Mi stava alle spalle. Lei non era arrabbiata e dopo un po’ accettò questa cosa a patto che ci dividessimo del cibo che c’era nella borsa frigo rigida. Vasetti di salsa di pomodoro, braciole, maionese e altre cose. Non so come abbiamo fatto ma eravamo soddisfatti.

“Dai vieni di qua che ho fame!” disse.

“Arrivo arrivo” sconsolato “Rompipalle”

“Cosa hai detto?!”

“Que hambre” salvo all’ultimo secondo. Vado in cucina.

“Cosa c’è stasera per cena?”

“Il tuo preferito!” Sorrise mostrando le gengive. “Due belle mani di un vecchio scheletrico con salsa di Pomodoro. Quasi tutta pelle, come piace a te, il viziato” disse con arroganza.

“Ecco perché la salsa di pomodoro! Ma non eri tu” dissi.

“Che?”

“Lascia stare, mangiamo”

fine
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