Serratura – 17 marzo (Inkuarantena)

Serratura

Serratura è una delle 14 parole di un esercizio messo in piedi da un disegnatore per far allenare/distrarre il suo pubblico durante quei primi giorni di confinamento nel marzo 2020. Ho preso in prestito questo gioco creando dei brevi racconti al posto dei disegni.

Ho parlato di questo esercizio di scrittura in un mio articolo di presentazione.

Potete scaricare il racconto "Serratura" gratuitamente cliccando sul link sottostante.

Per gli iscritti alla newsletter posso inviare il racconto, su richiesta, nel formato mobi ed epub.

Fino ad ora ho pubblicato 6 racconti. Si sta formando pian piano una raccolta.

Eccoli in ordine di pubblicazione.

Introduzione al racconto

La capacità dell’essere umano di adattarsi ai vari ambienti è eccezionale. Spesso però questa nostra innata capacità ci si rivolta contro facendoci diventare un mucchio di carne senza pensiero.

Questo racconto breve è la metafora dell’abnegazione della propria identità, cultura, libertà, pur di aver salva la vita, in un contesto non così originale: la prigione.

La paura di vivere diviene il nostro peggior nemico. Questo sentimento naturale può salvarci ma allo stesso tempo può distruggersi, soprattutto se abbocchiamo a paure create di proposito per tenerci in catene.

Buona lettura

Serratura

La porta senza maniglia si richiuse, così come ogni giorno. Jas si sentì di nuovo perso.
Tutto il tempo ad aspettare quel momento e adesso era di nuovo solo con la sua mente. Non ricordava più come era stata la sua vita precedente, prima di entrare in quella stanza. Ricordava il momento in cui aveva iniziato a guardare quella serratura con bramosità, come un lupo che guarda la sua preda, da lontano, con l’acquolina in bocca.

Aspettare, attendere, indugiare, stare in attesa.

La tavola, un po’ più lunga della sua altezza, attaccata al muro con due catene alle estremità. Sopra c’era un materasso così fino e così liso, il suo giaciglio. Una coperta marrone anch’essa consumata, con fili di lana che si staccavano in continuazione e che gli ricoprivano la faccia quando si svegliava. Dentro la stanza non c’era altro eccetto per un secchio, di quelli che una volta contenevano vernice, che utilizzava per fare i propri bisogni.

Non c’era più odore nell’aria. Una grata in alto nel muro, da dove non usciva niente. All’inizio gli odori li sentiva bene, per questo spesso il secchio lo usava per vomitare.

Aveva cercato di avvicinarsi a quella grata. Si allungava il più possibile allungando il collo per far arrivare il naso più vicino possibile. Non si sentiva niente però. Gli sembrava che quella parte prominente situata sulla punta del suo muso gli si fosse tappata per sempre. Aveva perso l’olfatto? Che importava. L’unica cosa che contava era la serratura.
Guardava spesso il contenuto di quel logoro secchio. Era l’unica cosa che poteva osservare e con il tempo iniziò a piacergli.

Un buon talk show non avrebbe fatto lo stesso effetto?

Jas non sapeva da quanto tempo era lì dentro e aveva perso interesse a saperlo. Aveva vitto e alloggio, un buon canale da guardare e non doveva fare niente di niente. Meno rischi meno pensieri. Poi c’era l’attesa che ripagava tutto. La serratura. Una volta al giorno si apriva e le campane suonavano l’inizio della festa di paese. Non era legato e poteva fare quello che voleva nella sua stanza. Ammazzava il tempo prima dell’apertura della serratura.

A volte si metteva seduto di fronte alla porta, chiudeva un occhio e con l’altro aperto cercava di guardare nell’occhiolino. Buio. Un bel giorno iniziò a vedere qualcosa.

Sapeva che era tutto frutto dalla sua immaginazione. Non era così pazzo da crederci. Però poi, non sapeva spiegare il perché, aveva iniziato a sperare che fosse vero. Osservava un prato pieno di margherite. Il sole che si rifletteva sui quei bianchi e delicati petali. La sua mano aperta che sfiorava quei fiori che si spostavano leggiadri.
Jas non era mai stato in un campo così in vita sua. O forse sì? Non ne era del tutto sicuro.

Forse se un giorno fosse uscito da lì l’avrebbe fatto, perché no?

Ma ne valeva la pensa uscire solo per quel motivo? Gli appariva adesso così faticoso anche solo pensarci. La sicurezza, era quella la cosa più importante e lì dentro c’era. Al diavolo tutto il resto. Le margherite, il sole, il cielo e la libertà di fare quello che voleva.
Ma cosa voleva fare lui?
Questa era una bella domanda.
All’inizio della sua carcerazione aveva avuto molti pensieri al riguardo. Nella sua testa era arrivato a contarne fino a cento.

Per ogni numero c’era una cosa che avrebbe potuto fare.

Ma perché barattare la sua salute, la sua sicurezza, per uscire fuori ed impegnarsi ad esaudire quei suoi cento pensieri? Una domanda stupida. Lui non voleva più uscire dalla sua roccaforte.

La buca sotto la porta si aprì e venne lanciato il vassoio con il cibo.
Un osso di pollo mezzo mangiato, mozziconi di pane un po’ duro, una ciotola con del brodo. C’era anche un bicchiere di carta con un liquido giallo.

L’odorò. Birra! Era un giorno speciale. La bevve con moderazione. Era calda e andò giù con piacere.

Dopo aver consumato quel pasto, si stese con soddisfazione sul suo confortevole letto. Non mancava tanto ormai, era quasi arrivato il momento. La serratura si sarebbe aperta e la giornata sarebbe stata chiusa con una perfezione perfetta.
Chiuse gli occhi per un attimo, cullandosi nel ricordo. Il suono dello scatto metallico. Il rumore di una porta che aveva bisogno di una spruzzata di grasso. Un rumore familiare, beato, amico.
Non aveva mai visto chi l’aveva messo lì dentro.

Aveva protestato. Non molto e con poco fracasso ma l’aveva fatto. Quando però le risposte non arrivavano e lui continuava a stare chiuso dentro quella stanza non aveva perso le speranze, dopotutto.

Gli esseri umani ne hanno una scorta incommensurabile e Jas più di tutti. Lui era il pioniere della speranza. Per questo aveva iniziato a vedere quella condizione come un frutto benedetto.
Si sedette. Iniziò a sfregarsi le mani. Lo sguardo era solo sulla serratura. Poteva vedere i tre piccoli chiavistelli nella piccola fessura tra lo stipite e la porta stessa. Se li immaginava muoversi verso l’interno della porta. Ma non era reale. Ancora no.

Poi dei rumori. Qualche passo. Bisbigli. Il suo desiderio avverato così, in un istante. La porta si aprì con quel gracchiare festoso. La porta venne sbattuta con un sordo tonfo. Il sorriso di Jas si fece più evidente.

Davanti a lui c’era una donna. Non vide chi c’era dietro di lei. Era vietato farlo e inoltre non gli interessava. A Jas interessava solo lei.
Non sapeva quanti anni aveva e non glielo aveva mai chiesto. Sapeva il nome però. Jasmine. Quello sì che era importante. Non erano animali gli uomini. Bisognava sapere i nomi delle persone. Per rispetto verso il prossimo, per cortesia, per umanità.

Jasmine aveva indosso un paio di pantaloni molto larghi di color blu, tagliuzzati sul fondo. Una felpa logora grigia con delle macchie scure qua e là. Aveva gli occhi azzurri che gli ricordavano qualcosa che però non riusciva a visualizzare.

Era magnifica. Non aveva odore, come tutte le cose che entravano da dietro la serratura.

Lei sorrise senza far vedere i denti. Si avvicinò a lui che si era alzato. Gli prese la mano e lentamente si sedettero.
Mentre si accarezzavano le mani e le braccia non smisero neanche per un istante di guardarsi negli occhi. Finalmente la serratura aveva elargito il proprio dono.

Non avevano tanto tempo, ma sarebbe bastato e quella non sarebbe stata l’ultima volta.

fine

Potete scaricare il racconto "Serratura" gratuitamente. Per gli iscritti alla newsletter posso inviare il racconto, su richiesta, nel formato mobi ed epub.

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