Coriaceo – 20 marzo 2020 (Inkuarantena)

Coriaceo - Sala d'aspetto
Photo by mark chaves on Unsplash

Coriaceo fa parte di una serie di racconti che ho scritto tra marzo e aprile 2020, serviti per adempiere ad un esercizio di scrittura.

Avevo parlato di questo esercizio (Inkuarantena) nell’articolo:

INKUARANTENA – Esercizio preso in prestito

In origine Inkuarantena consisteva nel creare un disegno prendendo spunto da una serie di parole assegnate ad ogni giorno di confinamento. Ho preso in prestito questo esercizio da un disegnatore presente su Youtube.

Perché ho scelto questa foto per il racconto Coriaceo?

È una sala d’aspetto futurista di qualche aeroporto asiatico e mi sembrava perfetta per rappresentare l’ambiente dove è ambientato il racconto. Cosa ne pensate?

Coriaceo l’ho scritto il 20 marzo 2020, una data importante per me.

Questo racconto è nato con l’intento di scrivere qualcosa di dispotico. Rileggendolo a distanza di sedici mesi il testo appare sempre meno dispotico ma più realistico. Ci sono ancora molti tratti assurdi e totalitari ma la strada tracciata è sempre più visibile. Tempo fa avremmo detto:

È impossibile che accada una cosa del genere e anche se diventerà realtà io non l’accetterò.

Le finestre di Overton fanno la fila in cassa per pagare ed uscire all’aperto.

Da leggere questo breve articolo che spiega in maniera chiara chi è Overton e cos’è la finestra che ipotizza. Leggetelo fino in fondo.

La realtà a volte supera la fantasia. Si inizia sempre piano piano, con passi felpati, silenziosi. Si dice qualcosa di assurdo, si ripete e si ripete malgrado sia inconcepibile, fino a che, abituati a sentirselo dire, si inizia ad accettare come realtà vigente. La nostra mente ci manipola arbitrariamente tutti i giorni senza nessuna causa esterna. Immaginate se qualcuno usi questo fatto conclamato contro di noi. Qui non c’è nessuna teoria del complotto poiché è un dato certo che si possa manipolare la mente umana.

Ma non sto qui ad addentrarmi nelle specifiche perché andrei un po’ fuori dal tema del racconto "Coriaceo". Vi lascio giusto un paio di link, per iniziare, perché la faccenda merita di essere approfondita.

In questo articolo l’autore da una panoramica sulle 7 tecniche di manipolazione. Alcune di esse vengono associate ad un libro da leggere. Un ottimo punto da cui partire.

Associazione stimolo risposta con l’esperimento di Pavlov succeduto alla gabbia di Skinner, il  processo di apprendimento, l’etichettamento e via seguendo.

Questo articolo più lungo si spinge su diversi binari. Parte dalle manipolazione sulle masse (Discreditare, associazione e ripetizione, trovare il nemico, tra le più famose) per arrivare all’inganno della pubblicità e all’astroturfing. Infine prova a dare una soluzione a come evitare in parte tutto e come possiamo comportarci.

Coriaceo parla di altro ma sottotraccia c’è una vetrina di Overton grande come l’imbocco della casa di un gigante.

Ci sono altri argomenti all’interno di Coriaceo, trattati con un po’ di sarcasmo.

L’ipocrisia di chi vuole convincerci che tutto sia fatto per il nostro bene è il punto focale di tutto quanto. Il traguardo è la fede incrollabile, quasi estrema, come se fosse una religione, dimenticando che nel passato dell’essere umano un fatto del genere (un capo che fa qualcosa per il nostro bene) non è mai esistito se non in realtà piccolissime e circoscritte, comunque durate il tempo di un colpo di tosse.

Di recente sono incappato, di nuovo, in una frase che avevo già letto e digerito più o meno un anno. Voglio chiudere questa breve introduzione a questo racconto dal titolo Coriaceo con questa famosa citazione.

Non iniziò con le camere a gas. E non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, yugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali. Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. E iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. E iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione. E iniziò con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità. Iniziò con la schedatura degli intellettuali. E iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione. Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse “normale”. Primo Levi

Potete scaricare il racconto "Coriaceo" gratuitamente. Per gli iscritti alla newsletter posso inviare il racconto, su richiesta, nel formato mobi ed epub.

Coriaceo

Jean era in sala d’aspetto da quasi un’ora. C’era molta gente lì con lui. La maggioranza erano signori di una certa età. Lui non si poteva di certo definire un giovanotto ma rispetto agli uomini e alle donne incartapecoriti che si appoggiavano al bastone o che, con gli occhi offuscati, si muovevano come zombie, Jean era un adolescente.
Jean aveva compito sessant’anni una settimana prima e, a parte la tosse e l’influenza che ogni anno lo colpiva come un auto schiantata a tutta velocità su un muro per testare i probabili danni, stava bene.

Ogni anno però doveva fare quella fila lunghissima. C’era la legge che glielo obbligava.

Erano però ormai diversi anni che sentiva la necessità di farlo volontariamente perché senza quell’iniezione, immaginava perché non aveva mai avuto il coraggio di non farsela fare, sarebbe stato molto peggio e, da quello che ascoltava in tv, dal governo, probabilmente sarebbe morto. Nessuno vuole morire.
Chi era lui per dubitare delle autorità? Che ne sapeva lui di queste cose? Era forse un medico? Era forse un esperto di influenze o di virus stagionali? No. Lui era un semplice pensionato. Aveva lavorato in molte fabbriche diverse. Catena di montaggio.

Poi aveva trovato finalmente un contratto fisso e ci era rimasto per dieci anni fino alla pensione. Non aveva mai capito bene a cosa servissero tutti quei prodotti che assemblavano.

Soprattutto quei piccoli pezzettini, simili alle vecchie sim del telefono, quando ancora esistevano, ma ancora più piccoli, impalpabili, da prendere letteralmente con le pinzette. Fino a che un lontano giorno di cinque anni fa, uno di quei minuscoli aggeggi, glielo avevano impiantato sotto la pelle, dietro la scapola destra. E aveva capito anche l’utilità e che utilità!

Niente più carte di credito, documenti di identità, niente più telefono. Poteva avere sempre le tasche vuote e da quando assumeva la sua dose quotidiana di nicotina rilasciata dall’aggeggio stesso, non si doveva portare neanche più il pacchetto di sigarette dietro.

Uno spasso. Una comodità incredibile.

Anche per il vaccino anti-influenzale, che ogni anno si faceva iniettare per far sparire quella tosse e quella febbre, il microchip era molto utile.
Prima di tutto non doveva prendere appuntamento. La data prestabilita gli veniva comunicata direttamente dalla televisione, che era collegata al chip. Poi non doveva compilare niente, non doveva farsi fare ricette e non doveva assumere farmaci perché bastava che avevi il chip e tutto era automatico. In quel piccolo tassello di un puzzle mondiale c’era tutta la sua vita. Bastava che qualcuno lo scannerizzasse e il gioco era fatto. Uno spettacolo.

Non credeva nell’era tecnologica, neanche nel suo momento di maggiore espressione, quando lui, ancora quarantenne, non ne coglieva appieno le sue potenzialità.

Jean amava scrivere lettere, amava darsi appuntamenti a voce e il piacere più grande era andarsi a leggere il giornale mentre prendeva il caffè al bar. Adesso queste cose non c’erano più o meglio, non servivano. Facevi tutto con il chip e si risparmiava tempo e attese. A parte quella che stava facendo. Ma era solo una volta l’anno e andava bene così. Era in pensione e il tempo a volte non passava mai.
Li sul tavolino della sala d’attesa, una volta, c’erano le riviste e i quotidiani. Era bello sfogliarle.

Quell’odore di carta stampata era buono come il profumo delle arance. C’era tanta gente che scriveva e si poteva leggere qualsiasi tipo di cosa.

Adesso però, per via dell’inquinamento, la carta era illegale e sul quel tavolo c’erano solo piccoli schermi portatili e si poteva leggere o vedere qualche video. Jean si domandava spesso qual era la differenza tra tagliare un albero e creare quegli aggeggi. L’albero poteva essere ripiantato mentre quei cosi come li smaltivano? Quanta energia si consumava per tenerli accesi visto che erano dappertutto? Poi però pensava all’albero tagliato e gli dispiaceva e faceva finta di niente.

La programmazione era un po’ limitata. C’erano solo alcune testate nazionali.

Dall’estero non si sapeva niente e i video erano per lo più di cucina o discussioni sui film che passavano in tv o al cinema. Sempre la stessa solfa che poteva vedere anche a casa.

Gli sarebbe piaciuto leggere un bel libro, magari un bel classico, come il Conte di Montecristo, o Madame Bovary o perché no, sarebbe andato bene anche il mattone di Proust. Ma anche quelli erano scomparsi del tutto. I libri parlavano sempre e solo della Francia e del governo francese.

Libri di cucina e libri sui libri di cucina. E li potevi leggere sui quei piccoli schermi. Ne aveva anche uno a casa. A quel punto però preferiva un bel film anche se le storie andavano a parare sempre sullo stesso punto.

Viva la Francia, viva il governo! Siamo una grande famiglia! Fidatevi del governo, teniamo a voi!

Sullo schermo attaccato in alto, all’angolo del muro, comparve il suo nome.
“Jean Monserrat” disse la voce metallica.
Era arrivato il suo turno e per fortuna! Non aveva smetto di tossire da quando era lì dentro. C’era troppo caldo per lui e non riusciva a respirare. Fra poco però sarebbe stato meglio.
Entrò nello studio. Un uomo con il camice era seduto davanti alla sua scrivania. Lo conosceva bene quell’uomo. Si chiamava Remì Sarten. Era il suo “medico”. Si perché non era proprio un medico. Lui gli faceva solo l’iniezione e aggiornava il chip.

Immaginava di poter imparare quel mestiere con una settimana. Non osava però dirlo ad alta voce. Le persone si arrabbiavano e per quanto impossibile, pensavano di perdere il proprio posto di lavoro.

“Come andiamo Jean?” gli chiese Remì.
“Come sempre dottore. La tosse come ogni anno.” lo chiamava dottore perché era meglio farlo.

“Non ti preoccupare Jean. Adesso sistemiamo tutto. Quella tosse coriacea te la faccio passare in un batti baleno” disse Remì strizzandogli l’occhio.

“Proprio coriacea. Ma non più coriacea di me” disse Jean mentre tossiva con la disinvoltura di un cuoco che spadellava un piatto di pasta.
Remì si alzò e andò nell’armadietto di lato alla porta.

Jean era seduto di fronte alla scrivania e dava le spalle al dottore che, con circospezione, aprì l’armadietto con una chiave che aveva nella tasca del camice e guardandosi intorno, prese l’unica cosa che aveva nell’armadietto.

Almeno un centinaio di siringhe già pronte con il vaccino, che avrebbe iniettato a tutti i pazienti, fino ad esaurimento. La cosa che non sapeva né Jean né Remì era che quando le siringhe sarebbero terminate anche la stagione del vaccino sarebbe finita. Ma visto che le visite erano tutte computerizzate e automatiche pensava, soprattutto il “dottore”, che la quantità di quelle iniezioni era calcolata alla reale necessità della popolazione della città. Ma non era proprio così. Ogni anno qualche anziano non riceveva la notifica dell’appuntamento e non faceva l’iniezione.

Ma nessuno di loro sapeva quanta gente moriva l’anno. I servizi di informazione non lo dicevano mai. Remì chiuse l’armadietto, come da contratto e si avvicinò a Jean.

“Adesso ti faccio l’iniezione. Scopriti la spalla Jean, per favore” disse Remì.
Jean, mentre continuava a tossire, sbottonò la camicia e fece scivolare fuori il braccio fino a lasciare la scapola destra scoperta. L’ago doveva penetrare proprio vicino al chip. Ormai lo sapeva bene.
Remì inserì l’ago nell’epidermide e spinse con delicatezza il liquido dentro il braccio di Jean. Tolse l’ago, ci infilò il tappo e mise la siringa in un apposito raccoglitore di metallo che sarebbe poi tornato alle autorità sanitarie.
Jean quasi all’istante sentì un sollievo tanto aspettato. Chiuse gli occhi.

Quel momento gli ricordava tanto quanto era un giovane ragazzo. Sdraiato su una coperta su un parco.

Il sole calava e i colori del tramonto si facevano intensi e quasi commoventi. Sentiva di esser legato alla natura. Come se diventasse un tutt’uno con quei colori, quei profumi che al tramonto si facevano più vividi. Aveva sempre pensato se tutto gli sarebbe apparso uguale senza uno spinello.
Quando riaprì gli occhi sentiva i polmoni più liberi. Inspirò ed espirò rumorosamente. Tutte le sue vie respiratorie erano libere.
“Addio coriacea tosse” disse Jean con un sorriso malizioso.
“Eh già” rispose Remì che era già al computer ad aggiornare il suo fascicolo.

“Avvicina il braccio Jean, per favore” Continuò il dottore con estrema pacatezza.

Jean fece quanto richiesto. Remì prese un aggeggio simile ad una piccola pistola. L’avvicinò al braccio e una luce azzurra colpì senza dolore il braccio. BIP. Una piccola scossa che andò via così come si era presentata.
“Siamo apposto Jean” disse Remì incrociando le mani appoggiate sulle scrivania.
“Fantastico” sorrise Jean “Vado allora. Alla prossima dottore” fece un cenno con la mano. Anche le strette di mano non erano ben viste. C’era già pronta una legge per vietarle. Jean era già da qualche anno che aveva preso ad evitarle, per sicurezza.

“Alla prossima Jean e copriti” disse Remì senza muoversi. Jean uscì dallo studio come nuovo. Anche per quest’anno era fatta.

fine - Coriaceo

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